Ho seguito le evoluzioni del meteo durante la settimana, che promettevano una finestra di bel tempo fra il brutto di venerdi e domenica. Venerdi addirittura nevica in quota, sopra i 2300-2500 metri. Notizie di prima mano, in diretta….splendido.
E allora dopo la sfacchinata di sabato scorso al Monte
Leone, mi decido che una salita alla Mottiscia o al Boccareccio, in Veglia ci
può stare. Ramponi e piccozza, oltre alle solite cose, finiscono in macchina.
Partenza albigna come al solito. Uno degli aspetti intriganti delle partenze
all’alba, oltre al fatto di non trovare traffico, è quello di avere tutta la
giornata a disposizione, per qualsiasi cosa si decida…
Come altre volte arrivo all’inizio dell’Ossola e il tempo non sembra quel che mi aspetto…salgo tranquillo lungo la strada che arriva a san Domenico, sovrastato da nuvole grigie che non promettono nulla di buono.
Al parcheggio di Ponte Campo non c’è in giro nessuno, fa freddino, come è giusto che sia. Mi preparo un po’ contrariato. Mi aspetta la solita salita sulla “trattorabile” che conduce alla piana del Veglia, un’oretta di cammino circa per 400 metri di dislivello. Mi avvio un po’ distratto, che ormai conosco bene la strada, supero il ponte sopra il Cairasca e mi fermo a leggere un cartello che obbliga a seguire un percorso pedonale al posto della solita strada.
Alle mie spalle
sopraggiunge un fuoristrada. Mi giro e faccio un cenno. La macchina si ferma…e
cado in tentazione! Un passaggio, fino alla piana, per saltare la salita, lunga
e un po’ noiosa, sulla strada…In
macchina ci sta un diavolo che acconsente con un ghigno e mi fa salire. Patirò
le pene dello scroccone all’inferno!
Dalla
macchina mi rendo meglio conto di quanto tiri la salita: prima ridotta e motore
imballato. Qualche chiacchiera allieta la breve salita. La strada è interdetta
al traffico a causa di una piccola frana non ancora messa in sicurezza, ma
quelli che hanno le baite con le bestie…la percorrono ugualmente.
Chiacchierando viene fuori che alla piana del Veglia si arriva anche in
inverno, passando dall’alpe del Cimporino. Annoto per il mese di
febbario-marzo.
Siamo
arrivati. Scendo. Ringrazio per il passaggio. L’auto si
allontana e si ferma davanti ad un gruppo di baite dell’alpe Aione.
Sono
solo, nelle prime luci del mattino la piana tace, solo un vento leggero muove
l’erba. In lontananza lo scroscio della cascata.
Il
meteo continua ad essere bruttino, nuvole grigie, basse, addensate sopra le
cime circostanti. Non si scorgono neanche le bocchette nè i passi. In un secondo mi rendo
conto che la salita alla Mottiscia non ci sarà, almeno non oggi.
Nonostante le nuvole, lo
spettacolo delle cime innevate mi mette di buon umore. La
neve è bassa. Mi tornano in mente vecchi ricordi di salite fatte su pietraie
coperte da pochi centimetri di neve: un supplizio, fatto di scivoloni e cadute
in buchi coperti.
No.
Rimando la salita a tempi migliori. Scartate le cime a nord, pervicacemente coperte,
decido di ripiegare sulla salita alla Punta della Valgrande. Avevo cercato di
salire lo scorsa estate ma non ci ero arrivato, perso a far foto al lago
d’Avino. Mi ero accontentato del Pizzo di Valgrande, pizzo di roccia a
strapiombo affacciato direttamente sul fondovalle. Salita più facile e breve.
Mi inoltro nel bosco verso le Marmitte dei Giganti e alle mie spalle principia lo spettacolo: quel vento leggero che muoveva gli steli d’erba della piana comincia a spazzare le nuvole dalla valle, scoprendo prima i passi e poi le cime, a tratti, per periodi sempre più lunghi.
Alle 9 e mezza sono in cima alla diga. Lo spettacolo davanti ai miei occhi è degno di essere gustato. Mi fermo qualche minuto e gli occhi non riescono a saziarsi del panorama. Punta d’Aurona, punta del Rebbio, la Mottiscia, le Piodelle, il Monte Moro, lo zuccotto del Monte Maror…tutti imbiancati. Illuminati dal sole, si stagliano decisi contro il cielo azzurro e terso. Scatto qualche foto. Sono contento, veramente contento. Penso a mio figlio che ieri mi ha chiamato dal rifugio dicendomi “pà…qui nevica, nevica fitto…” aveva la voce incredula, era emozionato. Adesso lo sono anche io. È stato un bene non essere salito alla Mottiscia. Posso fotografarla da qui in tutto lo splendore della livrea imbiancata.
Dal muraglione della diga di Avino, giro lo sguardo a sud verso la mia meta. Ci sono circa 600 metri di differenza non sono molti ma il percorso per arrivare è abbastanza frastagliato. Il guardiano della diga mi conferma la traccia: dritti lungo la sponda del lago fino alla fine, poi si segue il torrente, si sale sulla morena a destra della bastionata giallastra sotto la vetta. Una volta salita sulla bastionata la si percorre tutta verso nord-est. Da li si risale la cresta verso sud-ovest. “Tempo?” chiedo io facendo l’ingenuo. “Poco più di un’ora, tirando…” risponde il gattone…bene, so che mi occorreranno più di due ore. Le foto e le pause contemplative hanno un peso nelle escursioni…infatti impiegherò quasi tre ore fino alla vetta.
Passeggio tranquillo lungo il lago ripensando al tragitto
rimirato la scorsa estate dal pizzo di Valgrande. Dritto fino in fondo al lago.
Cerco le tracce della via per la salita al Leone. Scorgo solo i rottami
dell’aereo da turismo precipitato nel 1975. Sono lì da così tanto tempo che
sono comparsi persino in una relazione di salita come punto di riferimento. Un
insulto all’ambiente circostante. Scriverò all’ente Parco per chiedere
spiegazioni. Rottami di alluminio aeronautico verniciato. Con una durata
superiore alla pareti del Leone.
Arrivo
in fondo al lago. Comincio a salire lungo i prati, solcati da profonde
incisioni scavate dall’acqua. Si procede a vista. Non ci sono segni sulla
roccia e neanche ometti. Lentamente
mi avvicino alla morena a destra della bastionata giallastra. La salita lungo
la morena non è particolarmente difficile. È faticosa a causa della dimensione
rilevante dei massi. Richiede molta attenzione in quanto il pietrame è spesso
in bilico. Rischio in qualche occasione di tirarmi un macigno su un piede.
Salito
sulla bastionata si apre un pianoro leggermente inclinato verso nord-est. La
roccia sembra sabbia compattata, che si rompe in scaglie. Il panorama da qua si
apre verso la piana del lago, e verso il Pizzo di Valgrande. Si perde dietro
tutte le cime che separano il Veglia dal Devero, dando libero sfogo alla
fantasia ed al desiderio di percorrerle tutte. In basso sorniona la cima del
Teggiolo mi aspetta prima della fine dell’estate. In fondo ai piedi del
massiccio del Diei e Cistella si scorge San Domenico. Verso est si intavede il
Braithorn. Scorgo due persone che ne stanno risalendo la parte terminale.
Riprendo a salire. Ora comincia la parte più impegnativa. Tutto il versante nord della montagna è costituito da una pietraia formata da blocchi di medie e grosse dimensioni. Quasi assente pietrame di piccola taglia. Il pendio che mi aspetta per condurmi verso la vetta è parzialmente coperto dai resti della nevicata di ieri. Molti massi hanno un velo di ghiaccio. Salgo con la massima cautela.
Non vi sono tracce di precedenti passaggi. Mi attardo a fare ometti per poter scendere dalla stessa parte dalla quale salgo. I massi spesso si muovono aumentando la mia apprensione. A volte avanzo appoggiandomi anche con le mani per non perdere l’equilibrio. In realtà la pendenza non è particolarmente elevata ma l’instabilità dei massi non mi lascia tranquillo. Mi muovo con circospezione. Ciò nonostante, riesco a sbilanciare massi enormi. Tremo al sol pensiero che uno di questi si possa appoggiare sopra un piede o su una gamba. Fatico, un po’ per la quota, un po’ per il peso dello zaino. Sollevo lo sguardo ed intravedo l’asta del punto trigonometrico. Mi rincuoro un po’, manca poco alla fine della salita. Arrivo finalmente alla cima. Tiro il fiato e mi riposo. Faccio qualche foto.
Fuori il binocolo dallo zaino, mi godo l’ampio panorama. In basso si intavede il Sempione che sale attraverso le gole di Gondo. Sono veramente soddisfatto.
Ricomincio a scendere, seguendo la linea dei “miei” ometti fatti in salita: sono abbondanti e ben visibili. I pietroni ogni tanto si muovono sotto i miei piedi però mi consolo che ogni passo che faccio è un passo in meno da fare. Terminata anche l’ultima parte della morena ci sarebbe la possibilità di scendere dal passo del Croso sul sentiero che conduce all’alpe Valle…ci sono già passato l’anno scorso, stavolta continuo per il tragitto della salita.
Percorro il torrente verso il lago, indugiando sulla sabbia e sulle chiazze di eriofori. L’acqua scende dolce formando anse molto interessanti. Alle mie spalle il tempo sta lentamente cambiando. Nuove nuvole si addensano.
Passo sulla sponda ovest del lago. Nella parte finale, verso la diga il sentiero, strettissimo, si alza a picco sul lago, fino ad un piccolo bastione roccioso. Da lì si può scendere imboccando il sentiero verso il Cianciavero oppure percorrere una parte del sentiero della Valdivedro. Prendo quest’ultimo. Passato sotto il Leone, il percorso scende rapido su pendio scosceso ma ben tracciato.
Entro in un bel bosco di abeti e larici. A terra occhieggiano i mirtilli. Sono troppo stanco per chinarmi a raccoglierli. Le mie ginocchia soffrono un po’ per la salita sulla pietraia. Quasi al termine del bosco il sentiero passa accanto ad un piccolo specchio di acqua bassa e pulita. “lago delle streghe” dice il cartello. Credo che ogni valle qui introno ne abbia uno.
Termino la discesa nella parte ovest della piana. La giornata volge al termine. Gruppetti di escursionisti stanno incamminandosi verso il Cairasca per la discesa. Mi concedo qualche minuto ancora. Faccio pausa di fianco ad una fontanile. Bevo e mi gusto il panorama. La neve in basso si è ormai sciolta. Una giornata fantastica. Molti spunti per le prossime uscite, estive ed invernali.
le foto....http://trek2005.typepad.com/photos/2008_124_16_agosto_punta_/index.html
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