Dice la rete…
“Il Parco
Nazionale Risnjak è stato proclamato nel 1953, si estende su di
una superficie di 30 km quadrati (ora estesi a 64 kmq) nella zona forestale dell'omonima montagna
nella Contea di Gorski Kotar. In questa area è concentrato una grande varietà
di vegetazione spontanea, preziose specie. Il nome Risnjak ha origine dalla
lince “Ris” (gatto selvatico europeo), abile predatore, con pelo morbidissimo
ancora diffuso in questa zona.”
Fatta questa doverosa premessa, con la prospettiva
tutt’altro che allettante di passare una lunghissima settimana a pigronare
mollemente adagiato sulle rive del mare, sotto il sole cocente di agosto, stante
la mia permanenza nello splendido paesino di Nijvice sull’isola di Krk e visto
che la montagna più alta della zona, ben 1524 m slm, distava solo una
cinquantina di km, perché non fare un giro?
Capita che sfogliando qualche depliant dell’agenzia
turistica locale mi imbatta in una bella foto di un rifugio montano…comincio a
cercare qualche notizia in più sui volumetti della Croazia che mi ero portato
dietro ed ecco che lo trovo: si tratta del rifugio “Schloserov Dom”, piazzato
sotto la Veliki Risnjak
Così, impossibilitato ad andare a camminare nelle
gole del Velebit, nonostante i consigli appassionati di un amico, che 150 km da
percorrere sulle statali croate mettono a dura prova la resistenza di qualsiasi
automobilista, ho “ripiegato” sul giro al Parco Nazionale del Risnjak.
Ho con me solo cartine stradali e nessuno dei negozi
locali dispone di cartine a scala adeguata. Confido di trovarne in qualche
ufficio del Parco.
Così, partiti la mattina, assieme al mio fido
scudiero (Federico), con calma, con un bel sole ed un filo di foschia, arriviamo
sulla terraferma e appena scesi dal ponte troviamo i primi cartelli con le
indicazioni necessarie. Due possibilità: o il parco è molto bello oppure qui
sono veramente ben organizzati.
Le strade croate sono piuttosto strette, almeno
quelle secondarie, ma il traffico è quasi inesistente alla 8 di mattina e
quindi il viaggio prosegue spedito.
Lasciata rapidamente alle nostre spalle la costa,
cominciamo a salire di quota e, dopo pochi chilometri, ad inoltrarci nelle
foreste di faggi ed abeti. Scavalchiamo l’autostrada che da Rijeka va verso
l’interno. Davanti a noi solo qualche auto, a tratti. Continuiamo a salire
lungo la strada che si infila nel bosco. Nonostante il sole la temperatura
scende rapidamente, molto più di quanto salga la quota. Poche case, alcune ben
tenute altre meno, si affacciano a tratti lungo la strada. Da un piccolo
specchio d’acqua sale una leggera nebbiolina. Davanti a noi la nostra meta, una
cima in parte rocciosa ed in parte ricoperta di bassa vegetazione, pino mugo
per la maggior parte. Giungiamo in un’ora circa nel paese di Crni Lug, dove un
bel cartello ci indica la direzione da prendere per la sede dell’Ufficio del
Parco. Nel silenzio della mattina nel piazzale solo un paio di auto e più in
basso su un prato tre tende. Il termometro della macchian segna un gelido + 8
gradi. Perbacco, alla faccia della quota di 674 metri.
Finalmente trovo una cartina del parco, con tutti i
sentieri percorribili. Ricevo informazioni sul tracciato da seguire da una
guida locale che parla un discreto italiano, mille e mille volte meglio del mio
inesistente croato.
Ci inoltriamo nel bosco, ottimamente aiutati dai
segnavia, cerchietti bianchi e rossi, verniciati sui tronchi ogni 20-30 metri.
La prima ora di percorso si svolge su una pista carrabile che fa parte di un
lunghissimo anello.
I faggi che costituiscono il bosco hanno dimensioni veramente impressionanti, sia per la dimensione del tronco ma soprattutto per l’altezza. A far loro compagnia centinaia di abeti bianchi e rossi di pari altezza.
Una meraviglia.
Attraverso gli alberi, sopra le nostre teste ad un
tratto scorgiamo una coppia di rapaci che volteggiano, lanciando continui
richiami. Non credo siano in caccia.
Lasciamo la strada per prendere un sentiero, degno di
tale nome. Il bosco non cambia. Il sentiero si snoda lungo la costa della
montagna, fra terriccio rosso e rocce calcaree grigie, scavalcando enormi
radici affioranti. Il passo è sostenuto ma la salita è leggera anche se lunga.
Il silenzio è rotto a tratti solo da leggere folate di vento. Il bosco non è
molto fitto ma gli alberi alti non consentono di intuire il luogo. Lungo il percorso
enormi tronchi, schiantati dal vento giacciono abbandonati, destinati a marcire
lentamente fornendo nutrimento al bosco intero. Ci fermiamo a contare gli
anelli di un grosso tronco di abete. Anelli fitti fitti, regolari, rotondi e
concentrici: sono quasi 120! Più di un secolo. Ha visto un pezzo di storia
lunghissimo, due guerre, il Maresciallo Tito, forse anche la frammentazione
della Jugoslavia…queste cose mi lasciano sempre ampi spunti di riflessione.
Passiamo accanto alla Vugja Jama, una grossa cavità
verticale nella montagna. Ci fermiamo a fiatare e buttiamo un paio di sassetti
nella cavità per cercare di intuirne la profondità.
Ci rimettiamo in cammino e dopo un’altra ora circa
usciamo dalla parte fitta del bosco. Siamo ormai in vista del rifugio. Adesso
la vegetazione è costituita principalmente da pino mugo e radi piccoli abeti,
fortemente modellati dal vento che nelle giornate di bora tira veramente forte.
Pochi metri ancora ed arriviamo nel piazzale che ospita il rifugio.
Si tratta di una costruzione in muratura,
parzialmente rivestita in scandole in legno e con il tetto in lamiera metallica
rossa. L’aria dell’insieme è un po’ dismessa. Alcune persone sono al lavoro
attorno a due cisterne interrate. Entriamo a curiosare e chiedere informazioni.
Dalla cucina arrivano ottimi profumi. I cartelli alle pareti sono i soliti: non
salire nelle camere con gli scarponi, non fare rumore dopo una certa ora, non
infastidire gli animali…insomma come in quasi tutti i rifugi.
La signora che gestisce il rifugio chiarisce subito
che parla solo inglese e mi adeguo…il gulash che sta cucinando invita a
fermarsi, ma noi vogliamo arrivare in vetta. Alla pareti del salone del rifugio
sono appese una serie di fotografie di paesaggi invernali. Non avrei mai
creduto che a quote così basse potesse cadere tanta neve. Leggendo attentamente
il retro della carta che ho comprato all’Ufficio Parco scopro che a volte la
neve arriva a 4 metri e rimane anche fino a primavera inoltrata.
Chiedo un caffè…mi viene servita una specie di
brodaglia con uno spesso strato di polvere scura che non si scioglie neanche a
bastonate. Ripartiamo verso la cima che raggiungiamo percorrendo un facile
sentiero che si inerpica lungo il fianco della montagna, sempre in mezzo alla
macchia di pino mugo. Le rocce levigate e lucide che affiorano dal sentiero
testimoniano la frequenza dei passaggi. Addirittura passiamo accanto ad un
breve tratto attrezzato con un cavo in acciaio. Credo che serva principalmente
per la discesa più che per la salita. In caso di pioggia le rocce umide e
lucide potrebbero trasformarsi in una pista di pattinaggio.
In pochi minuti arriviamo alla vetta. Finalmente il
panorama ripaga le tre ore di cammino. Verso ovest si intravede il mare.
Aiutandomi col binocolo vedo il ponte che collega la terraferma all’isola di
Krk. In tutte le altre direzioni, quasi a perdita d’occhio, un mare
verdeggiante di boschi fittissimi. Mi viene in mente che se perdi il sentiero
in queste valli potresti vagare per giorni senza riuscire a tornare a casa od incontrare
anima viva. Non si scorgono case né costruzioni di sorta, se non un altro
rifugio, in lontananza.
Bello, molto bello. Peccato per la leggera foschia.
Fossimo venuti ad inizio settimana con il vento che tirava avremmo goduto di
uno spettacolo meraviglioso. Faccio un giro per la cresta e qualche foto. Al
sole si sta bene e la leggera brezza che spira a tratti non infastidisce, ma
basta mettersi al riparo del sole dietro un masso e la bassa temperatura si
sente tutta. Veniamo raggiunti da altri escursionisti locali. Un saluto e
ricominciamo a scendere. Una breve sosta al rifugio, una cartolina e riprendiamo
il sentiero che abbiamo percorso all’andata, frenando la tentazione
“fortissima” di un giro ad anello. In due ore e mezza siamo di nuovo al piazzale
dove ci aspetta la macchina.
Ma il pomeriggio è ancora giovane e, nonostante le
proteste garbate di mio figlio Federico, ci infiliamo nuovamente nel bosco
seguendo una sorta di percorso didattico che, di cartello in cartello, passa
accanto alle zone più interessanti fornendo adeguate spiegazioni sulle
caratteristiche della flora e della fauna, della composizione e della
morfologia del terreno. Lunghetto (quasi 2 ore), abbastanza interessante ed
esaustivo. Tornando a casa ci concediamo una puntata “turistica” al Lokvarsko
Jezero, specchio d’acqua artificiale con le sponde particolarmente
frastagliate. La strada passa sopra la diga e conduce alla sponda opposta per
poi risalire verso la statale.
Lungo la strada del ritorno devo resistere alla
tentazione di una visita ad una grotta segnalata lungo la strada, altrimenti
finisco per tornare a casa dopo mezzanotte. Devo sottolineare che se uno
volesse fare il giro delle grotte, non avrebbe che l’imbarazzo della scelta:
sono a decine, piccole e grandi, ben segnalate e spesso a pochi kilometri di
distanza fra di loro.
Alla
prossima
Trek
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