Il
monte Leone…una bella cima dal Sempione…
Coltivavo
questa idea da tempo e alla fine mi son deciso.
Dopo aver raccolto un po’ di informazioni in rete e su qualche libro, mi faccio l’idea che potrebbe essere una fatica improba a causa dei diversi metri di dislivello, diverse ore di cammino, prati, sfasciumi, ghiaccio, neve e roccia…si, si può fare!!
Venerdì
sera preparo la roba e la carico in macchina. Sabato alle quattro la sveglia mi
butta giù dal letto.
Parto
alla volta del passo del Sempione. Man mano che percorro la strada senza fretta
cerco di immaginare l’escursione, accarezzando l’immagine che potrò vedere al
di là del colletto del Breithorn.
In
valle mi aspetta la prima sorpresa. Il meteo “nella mia zona” non è quel che mi
aspettavo. Nuvole grigie. Che peccato!…Vabbè, siccome sono ottimista, mi dico
“magari cambia”.
La
prendo quota attraverso le gole di Gondo. Sulla strada non c’è anima viva. Vado
spedito e passo le frontiere senza che nessuno si affacci ai posti di guardia.
Sono vestito con una magliettina estiva, ma il termometro dice che fuori la
temperatura è di 11 gradi…del resto sto salendo a 2000 metri e sono solo le sei
e mezza.
Arrivo
nel piazzale dell’Ospizio con le nuvole che vanno e vengono. Di fianco a me un
gruppo di tre escursionisti sono quasi pronti a partire. Ci salutiamo e chiedo
dove siano diretti. Leone anche loro. Bene. “A prendere la pioggia” dicono
buttando uno sguardo accigliato alla cima che ci aspetta. Chiedo se mi posso
unire. La traversata è lunga e sconosciuta, farla da solo presenta qualche
rischio in più, sia per la quota che per l’ambiente. A casa saranno contenti
della mia saggezza spicciola.
Loro
partono, io finisco di cambiarmi, controllo di aver quel che mi serve e mi
incammino. Li raggiungo dopo poco. Due valsesiani ed un varesino. Fiorenza, Gianni
e Franco.
Si
cammina di buona lena, in breve raggiungiamola morena che sta alla fine del
ghiacciaio. Faccio qualche foto. Il sole sta nascosto dietro il colletto del Breithorn.
Alle nove e mezza calziamo i ramponi. Davanti a noi cinque escursionisti,
lontani. Il ghiaccio è abbastanza duro…crocchia sotto le nostra punte di
acciaio. Il meteo continua ad essere ballerino, coadiuvato da un vento discreto
che sposta le nuvole continuamente.
Saliamo
il ghiacciaio zigzagando, all’ombra. Mi sposto in alto per fare qualche foto
anche ai miei soci. Approfitto per gustarmi il panorama che ora appare sgombro.
Le nuvole stazionano più in basso. Le cime svizzere appaiono in tutto il loro
splendore. Il meteo ha virato decisamente al bello. Siamo contenti. Avremo sole
in abbondanza…
A
nord il vento spinge le nuvole sul fianco della punta di Terrarossa. Sembra una
specie di vulcano che fuma. Alle dieci e mezza siamo al colletto del Breithorn.
Come
questo inverno arrivo sulle ali del vento, bello teso anche se non freddissimo.
L’aria umida sospinta contro la roccia, condensa e forma cristalli di ghiaccio,
orlando i contorni delle pietre. Incontro tre degli escursionisti visti dal
basso. Scendono dal Breithorn. Non si sono fidati a salire sul Leone che
potrebbe essere coperto di cristalli di ghiaccio come parte del Breithorn. Mi
raggiungono anche i soci e ci facciamo qualche foto.
Si
riparte, siamo solo a due terzi della traversata. Superato il colletto si apre
di fronte a noi la conca del ghiacciaio dell’Alpjer, vasta, innevata ed in
parte traversata da crepacci, piccoli e grandi.
Cominciamo
a scendere tenendoci i ramponi ai piedi, percorrendo in parte un ghiaione. Il
sole alto comincia a dardeggiarci…il nevaio si trasforma lentamente, perdendo
consistenza. Il riflesso sulla neve alza la temperatura. La traversata lunga e
noiosa ci consente di tirare un po’ il fiato…anche se a questa quota…la
scarsezza di ossigeno comincia a farsi sentire. Ancora foto, scansando un
crepaccio a campana particolarmente “accogliente”. Arriviamo alla fine del
nevaio.
Lasciamo
i ramponi e cominciamo la salita sulla roccia. Una debole traccia ci guida. Le
rocce sono a tratti instabili, il ghiaino ogni tanto tradisce i passi…l’attenzione
al percorso è grande. Il panorama si fa sempre più spettacolare, sia per la
vista che per la posizione della cresta, frastagliata e piena di passaggi
obbligati.
Sotto
di noi a sud il ghiacciaio dell’Alpjer, a est la piana di Avino col suo lago. A
nord la cima, sempre lì, immobile. Ad un tratto una vista assai insolita:
attraverso una finestra nella roccia si staglia la mole del Pizzo Diei. Tanto
grande appare dal basso e tanto piccolo e lontano mi appare ora da qui. Si sale
ancora, con prudenza, molta prudenza…la tensione è considerevole. Non sono
molto avvezzo a questo genere di percorsi, non a questa quota.
L’altitudine,
la fatica della salita, il peso dello zaino, l’esposizione del tragitto, spesso
verso il vuoto o quasi, e la stanchezza della levataccia fanno il resto. Un
ulteriore passaggio esposto…ormai mancano forse 30-40 metri alla vetta e sono
veramente spossato.
Mi
rendo conto come altre volte che sono nella zona di riserva delle forze e
dell’attenzione che un posto simile richiede. C’è ancora tutta la discesa da
affrontare. Decido che oggi si può fare sosta…peccato per la cima a portata di
mano, ma non voglio rischiare.
Mi
fermo. Un’anima pia, la Fiorenza mi fa compagnia.
Gianni
e Franco, indomiti, proseguono. Quando tornano ci raccontano della vetta. E
anche di qualche passaggio particolarmente perfido. Abbiamo fatto bene a
rinunciare. Forse lo dicono solo per consolarci. Ma ci va bene così.
Rianimati
dalla sosta, durante la quale siamo stati seduti a contemplare il paesaggio e
goderci il sole, ci rimettiamo in cammino, seguendo un percorso in discesa solo
in parte uguale a quello di salita.
Quando
torniamo alla quota dei ramponi mi rendo conto che ci aspetta ancora tutto
l’infinito traverso sul ghiacciaio. La neve ormai ha la consistenza molliccia del
budino. Avanziamo senza ramponi, scivolando di tanto in tanto. Non abbiamo
ancora mangiato, solo sbocconcellato qualcosa. Arriviamo di nuovo al colletto
del Breithorn che sono ormai le quattro…con una fame da lupo.
Scendiamo
qualche metro e ci sediamo a mangiare su un gruppetto di rocce. Di fronte il Fletshhorn
ed alle spalle la Punta di Terrarossa. Il sole ancora alto che ci martella
feroce. La stanchezza si fa sentire. Mangiamo volentieri. Gianni sfodera una
toma Valsesiana da urlo. Io taglio un po’ di pane casareccio che mi sono
portato da casa.
Riprendiamo
la discesa. Franco, che sembra quello meno stanco, si esibisce in una elegante
serpentina sulla neve molliccia, quasi avesse gli sci ai piedi. Io calzo i
ramponi e scendendo girovago sul ghiacciaio che lascia scorrere l’acqua in
mille rivoli. La temperatura deve essere salita di molto.
In
fondo al ghiacciaio le rocce levigate ospitano l’acqua che le percorre
modellandole. Qualche altra foto che la giornata merita veramente. Adesso
comincia la parte più dura della discesa. Tutto su detriti, seguendo i bolli
verdi del percorso. Le ginocchia gemono, i muscoli stanchi cominciano a cedere.
Le soste si fanno sempre più frequenti. Servono a poco perché l’Ospizio sembra
sempre lontano.
Finalmente
su un sentiero degno di tale appellativo, superiamo l’ultimo tratto in salita
della giornata. Ecco, laggiù al termine dei pratoni ci aspetta il piazzale ed
il meritato riposo.
Un
ultimo sforzo, mezz’ora ancora, percorsa lungo il sentiero che si snoda fra
l’erba e i rododendri, nel silenzio della stanchezza, interrotto solo dal
belare di un piccolo gregge di pecore scozzesi. Alle sette e mezza di sera, col
sole che ormai sta calando arriviamo al parcheggio. Scatto una ultima foto ad
una marmotta che ci guarda.
Ci
voltiamo a sbirciare la nostra meta, là lontana ed in alto…che da qui sembra
ancora più lontana. Quando mi levo gli scarponi, rimango qualche minuto con le
gambe incrociate in momenti di intenso godimento.
La giornata è stata lunghissima e splendida, anche se non sono arrivato in vetta.
Un grazie di cuore ai miei “soci”:
Fiorenza (citata per prima per dover di cavalleria),
Gianni (per la tenacia e per la toma Valsesiana),
Franco (per essere stato uno splendido soggetto fotografico).
Un grazie anche al Topocane che mi spedì a suo tempo la carta che oggi mi ha fatto compagnia.
Per la
cronaca dei freddi numeri: 1878 metri di dislivello in salita e discesa, con
uno sviluppo di circa 16 kilometri…ora si spiega perché viene data come
scialpinistica…la discesa è meno lunga della salita!!
Da ultimo: la salita non vale se non si arriva in cima...!!!! (anche se Fiorenza non è d'accordo...azz, mancano le faccine... :-)...)
Trek p.s.: la domenica abbiamo pagato tutti gli sforzi del sabato...
Commenti