Ecco quindi sabato…
Si parte la mattina
presto, destinazione alpe Veglia, forca d’Aurona…
La scorsa settimana
il racconto di un simpatico locale mi ha stuzzicato la voglia di fotografare stambecchi…
Così, poco dopo le
sette lascio la macchina al parcheggio di Ponte Campo, mi preparo e parto. Oggi
posso prendermela con calma, la salita non è lunghissima. Stavolta invece di
salire dalla noiosa strada gippabile, dopo il ponte giro a destra ed imbocco il
sentiero che passa accanto all’agriturismo. Sale ripido, in mezzo al verde, nel
consueto silenzio della mattina. Davanti a me un po’ lontano un altro
escursionista, che procede con passo spedito. Passo accanto ad alcuni larici
isolati…la disposizione dei loro rami indica chiaramente che qui d’inverno il
vento soffia, e soffia forte. I rami sono disposti solo sul lato verso valle,
in maniera aerodinamica…quanto avranno sofferto quelli verso monte solo Dio lo
sa.
Temperatura
adeguata alla data…diciamo bassina, ma si riesce a stare in maglietta, a patto
di muoversi.
Passo dopo passo
arrivo al termine del sentiero ed imbocco nuovamente la gippabile. Il cielo è
sgombro di nuvole, le cime attorno cominciano a schiarirsi, tingendosi di un
colore caldo, un giallo rosato che si fa fatica a descrivere. Il contrasto con
la forra sul fondo della quale scorre rumoreggiando il Cairasca, è altissimo.
Le pareti tutto intorno sono grigio scuro. Cammino con lo sguardo per aria, fisso
sulla parete sopra la mia testa, alla ricerca di un cavo teso: serve agli
uomini della diga per superare il tratto più esposto della strada quando la
neve è tanta. Alla fine lo trovo. Effettivamente, quando c’è neve e la strada è
completamente impraticabile, si sale di 5-6 metri, ci si assicura al cavo e si prosegue…trovo anche la lapide che ricorda due dei guardiani della diga (quella del lago d’Avino), morti “nell’adempimento del loro dovere”:
sepolti da una slavina, mentre stavano cercando di tornare al piano qualche anno fa ...
Un gruppo di
escursionisti, forse una trentina di bambini fra i 10 e i 14 anni, con 5 accompagnatori,
stanno scendendo verso Ponte Campo. Un saluto freddino, come la mattinata. Già,
la temperatura…mi sembra sia bassa, anzi ne ho la certezza quando tocco lo
stelo metallico delle mie racchette a mani nude…sono gelide! Ma il belle devo
ancora arrivare…
Eccomi finalmente
nella conca del Veglia…meravigliosa come sempre, schiarita dal sole che adesso
comincia ad illuminare anche i fianchi delle montagne e non solo le cime.
Davanti a me la forca e la cima del Rebbio…una delle prossime mete! La piana è
completamente brinata, uno spettacolo. Una nuvola di vapore staziona fra gli
abeti verso il passo di Valtendra. Passo sopra un ponticello che scavalca il
Cairasca. Sulle assi rimangono le mie impronte, impresse sul leggero strato di
brina che le ricopre. Mi fermo a fare qualche foto ai cristalli di ghiaccio sul
corrimano. Più avanti una pozza di acqua riflette le cime circostanti, un bel
contrasto che merita un’altra foto. Lungo la strada passo davanti al rifugio “Città
di Arona”. Mi fermo a prendere un caffè e far due chiacchiere col gestore,
gentile a darmi qualche informazione “a caldo” sul giro che voglio fare:
scarpinata semplice con un bel panorama e la possibilità di salire alla Punta
d’Aurona, senza grande difficoltà. In effetti le relazioni parlano di qualche
tratto di arrampicata su facili roccette…vedremo. Sul lato destro del rifugio
un scala di legno conduce al locale invernale. Gli do un’occhiata. Un piccolo
locale con 9 letti, ben tenuto, pulito ed ordinato.
Riparto. Sulla
strada sterrata che fa il giro delle baite dell’Alpe, qualche camino accesso
indica che alcune sono ancora abitate. Le indicazioni sui cartelli sono chiare
e la strada è facile da seguire. Comincio a salire, attraverso un boschetto di
larici ed abeti. Le foglie dei larici cominciano timidamente a cambiare colore,
virando dal verde al giallo. Ultima baita, prima di uscire dal bosco. Un paio
di macchine intorno ed il cartello che indica la via per "la Forca" del Rebbio…
Eccomi sul
sentiero. Riconosco il pendio che ho percorso la settimana scorsa andando verso
il Bivacco Farello. Procedo spedito, la pendenza è modesta ed il sentiero è ben
segnato. Ogni tanto mi fermo, mi giro e scatto qualche foto della Piana del
Veglia che lentamente si allontana e viene inondata dal sole. Laggiù, oltre la
gola del Cairasca, la foschia disegna un bel quadretto. Breve sosta accanto ad
un masso, ricoperto di vegetazione, come un tappeto verde fittissimo,
tenacemente abbarbicato. Superati resti della casetta delle guardie di confine
davanti a me si vede la morena del ghiacciaio di Aurona percorsa la scorsa
settimana. Un sentiero sul fondo ed un altro sui detriti di sinistra. Lassù, un
puntino rosso, il Bivacco Farello. Adesso scorgo chiaramente il canalino che
evitai accuratamente di salire. Stavolta nessuno in giro. Arrivo ai “pascoli
d’Aurona”. Il cartello indica "2200 m" e 1.35 ore per raggiungere la forca. Guardo in alto.
La forca è lassù al termine di un ripido pendio . si scorgono i segni bianchi e
rossi che indicano il sentiero. Sono le 10 e mezza. Comincia la parte più
ripida della salita. Il ripido taglia le gambe. Mi fermo spesso a prendere
fiato e guardare il panorama. Dopo una mezzora di salita scorgo una figura che
scende sul sentiero. Pochi minuti e siamo di fronte. Saluti, domande di
cortesia e…
“sei salito per far
foto agli animali?” mi domanda
annuisco, “ma non
ne ho visti in giro…”
“neanche quello
grosso laggiù?”
“dove…?”
“là, sul masso…”
Maledizione a me
che ho lasciato gli occhiali in macchina…
Un grosso stambecco
se ne stava solitario mollemente adagiato su un masso a prendersi i raggi caldi
del sole di settembre, ad una cinquantina di metri sotto di noi, poco distante
dal sentiero. Probabilmente un principio di “anossia da salita” aveva impedito
che lo scorgessi. Poco male, si può scendere ancora, lentamente e senza far
rumore per fargli qualche foto da vicino. Lascio lo zaino. Sensazione di
leggerezza. Scendiamo senza parlare, camminando silenziosi sopra le pietre. Arriviamo
a una decina di metri dallo stambecco che si gira a guardarci ma si lascia
fotografare. Quando però, avanzando qualche metro, superiamo la sua personale
linea di confine si alza ed accenna ad andarsene. Continuiamo a far foto,
finchè non va fuori tiro.
“se mi dai il tuo
indirizzo di posta elettronica stasera ti mando le foto” dico io…
“ecco, scrivi qui…”
“io sono Mauro e
faccio il guardaparco…”
Ecco, l’occhio allenato dell’esperto ed un po’ di fortuna, quella di incontralo nel posto giusto, mi hanno regalato la possibilità di fare qualche bella foto. Adesso lui scende ed io ricomincio a salire. Inseguo lo stambecco per qualche altro minuto, senza grande fortuna, sono sottovento. Raccato lo zaino e continuo a salire. Ancora venti minuti e sono alla forca. Il cartello altimetrico segna 2686. Una baracca malandata, in muratura e lamiera fa da ricovero di fortuna. Dentro una gran casino di cose ammucchiate, grandi quantità di legname, una stufetta, qualche vestito appeso. Veramente un ricovero di fortuna. Una scatoletta di metallo verde accanto alla porta accetta offerte per la ristrutturazione dell’edificio.
Sulla roccia è inciso il segno del confine, con le lettere I da una parte ed S dall’altra, casomai qualcuno si dovesse confondere..faccio qualche foto verso "la Svizzera" a montagne che purtroppo non conosco. A nord est svetta "la Punta" d’Aurona. Manca una manciata di minuti a mezzogiorno decido che si può salire. Non c’è sentiero, si segue il fio di cresta passando a tratti su terriccio, a volte su grossi massi. Alcuni ometti formati da qualche predecessore mi aiutano nella salita.
Arrivo all’ultimo ometto visibile. Un grosso masso sta giusto in mezzo alla linea di cresta. Lascio lo zaino prendo solo la macchina fotografica. Da qui il percorso mi sembra più complicato. La vetta sta lì, mancano forse 30 metri". Salgo con molta attenzione, appoggiandomi alle rocce alla mia sinistra. Ad un tratto scivolo di lato, forse mezzo metro…mi fermo qualche secondo, ma la mia sicurezza comincia a vacillare. Riprendo a salire, la vetta è sempre più vicina, sarebbe un peccato proprio ora...
Qualche metro ancora e la pietra sulla quale stavo in piedi si muove scivolando verso valle. La lascio scivolare, rimanendo “appeso” alla roccia con le mani. Mi rimetto in piedi, ma la mia sicurezza è sparita, scivolata di qualche metro assieme alla pietra. Il cuore batte veloce. Mi “ricordo” che sono solo e non val la pena di rischiare ancora. Non qui su. Mollo la presa e giro le scarpe. Mancava veramente poco. Iscriverò la Punta d’Aurona nella kilometrica lista delle cime sulle quali non sono salito.
La discesa scorre
veloce, raggiungo di nuovo la forca e continuo ancora per un’altra mezz’oretta.
Mi fermo a mangiare col panorama della piana davanti agli occhi. Un
leggerissimo sonno ristoratore cullato dai fischi delle marmotte mi restituisce
le forze per tornare a casa. La giornata termina piacevolmente davanti ad una
birretta fresca, al cospetto del monte Leone nel colore caldo degli ultimi
raggi di sole che illuminano l’alpe Veglia. È ora di riprendere la strada
percorsa questa mattina. Spero di poter salire quest’inverno prima che la neve
impedisca il passaggio. Con la neve la piana deve essere una meraviglia.
Alla prossima
Trek
bravo Trek.... ankio avevo fatto fatica a salire sulla cima della punta d'aurona ma il terreno non era così infido... c'erano solo quei tratti da fare arrampicando un po'... un po' friabile ma non così franoso.... hai fatto bene a tornare.
a presto sui monti ...se no dici che sono un clone... :D
Scritto da: haldo | 23 settembre 2007 a 18:07
ehhh...ma tu sei bravo...io sono un pallelesse!!!
a presto!!
Scritto da: trek | 23 settembre 2007 a 21:17
gran bel giro Trekko:-)
..mannaggia mannaggia ..me so 'pperso lo stambecco...
magari ci faremo un giretto con la neve per vedere l'effetto che fa!
ciao ciao
Cipirignao! :-)
Scritto da: Cipirignao | 23 settembre 2007 a 21:43
Ottima gita e racconto, complimenti! Ero al Veglia domenica, speravo in colori un po' più autunnali, bisogna aspettare ancora qualche giorno per vedere i larici esplodere nella loro fantastica policromia. Frequenti spesso le nostre valli, chissà che un giorno non ci si incontri su qualche sentiero.. io sono sempre da quelle parti, specie in inverno
Buona montagna!
Scritto da: Fabri | 25 settembre 2007 a 11:43